Empatia: arma a doppio taglio

"Un po' di empatia: mettiti nei suoi panni"

Nel precedente articolo (http://nuovaeducazione.blogspot.it/2018/01/educatore-professionale-questo.html) ho fatto accenno all'empatia come una di quelle qualità indispensabili per qualunque educatore, specificando che la mala interpretazione che spesso si ha di questa competenza (solitamente) innata e (spesso) allenabile, può far volgere qualsiasi relazione umana in una direzione piuttosto che in un altra.

Il più delle volte si ha dell'empatia una concezione positiva: è questa infatti che mette un individuo nella condizione di allinearsi in maniera più autentica allo stato d'animo del suo interlocutore.

"Avere empatia" viene considerata oggi una qualità importante, e lo è ancor di più se si svolge una professione in cui ci si relaziona all'altro per soddisfare una richiesta di aiuto.

Ma cosa succede quando non si conosce il territorio di riferimento del posto in cui ci troviamo? Il rischio è di inciampare, nella migliore delle ipotesi.
Come ogni competenza infatti anche l'empatia necessita di essere conosciuta, allenata e sviluppata, per non incorrere in situazioni di stallo senza possedere al contempo l'abilità per uscirne.

Il più ricorrente errore è confondere l'empatia con la simpatia. Territori comunicanti che non di rado possono trarre in inganno.

Etimologicamente, simpatia deriva dal greco συμπάθεια (sympatheia), parola composta da συν + πάσχω = συμπάσχω, letteralmente "patire insieme", "provare emozioni con...". 
Essa viene definita come "l'inclinazione istintiva di gradimento verso qualcuno o qualcosa". Sfido a trovare qualcuno che non abbia mai parlato di sè o del signor Tal de Tali come di una persona simpatica. Proviamo simpatia per quelli che condividono qualcosa con noi, a livello valoriale o esperienziale, in un processo dunque di attivazione emotiva forte verso l'altro vicino a noi. 

In cosa si differenziano allora simpatia ed empatia?

Empatia è una parola frutto di un composto greco, en ‘dentro’ e páthos ‘sentimento’. Nonostante il suo significato etimologico, si tratta di un qualcosa tanto emozionale quanto razionale (più di quel che si immagini). L'esperienza empatica può essere definita come una modalità comunicativa facilitante nei confronti di un altro che non necessariamente sposa con noi valori ed esperienze. Provare empatia per l'altro significa comprenderne la posizione, l'emozione, il pensiero e l'inclinazione, rispettandolo e accettandolo incondizionatamente, senza giudizio, ma soprattutto senza necessariamente condividere quei suoi stessi caratteri.

Provare empatia per l'altro dunque, non significa mettersi in tutto e per tutto nei suoi panni.
Volendo usare una metafora, si potrebbe dire che provare empatia per qualcuno sia un pò come mettersi nei suoi panni, rimanendo però saldamente nelle proprie scarpe.
Cioè...mi affaccio un po' nel tuo mondo, lo accolgo, e vedo come ci si sta. Ma sono consapevole che per farlo è bene che io rimanga saldamente nel mio spazio.
Provare simpatia invece, potrebbe essere reso proprio con il mettersi nei panni e nelle scarpe dell'altro.

Rimanendo nelle proprie scarpe, non si crea necessità alcuna di mescolare il proprio spazio con quello altrui: il bravo professionista della relazione d'aiuto utilizza questo elemento per segnare i giusti confini professionali ,oltre che relazionali, garantendo all'altro spazi chiari e ben delineati in cui potersi muovere in sicurezza.

In definitiva si tratta di due piani confinanti ma diversi dell'essere in relazione: provare simpatia presuppone che si vada d'accordo con l'altro; provare empatia significa avere rispetto per e ascoltare attivamente i contenuti altrui, senza necessariamente condividere la medesima posizione. Una vera e propria competenza che presuppone la già citata capacità di sapere ascoltare attivamente, senza giudizio alcuno, nella piena chiarezza dei confini relazionali. Attenzione sempre alta dunque, quando si ha a che fare con l'empatia... rischiamo di scambiarla per altro.

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